Nel mare ci sono i coccodrilli

Enaiat ha forse dieci anni, forse nove, forse undici. Dove vive Enaiat a Nava in Afghanistan gli uffici dell’anagrafe non ci sono, ma ci sono pashtun, talebani e hazara come lui. E i talebani a loro volta sono pakistani, senegalesi, marocchini, egiziani…

Non si cresce tanquilli e basta poco per diventare troppo grandi (forse dieci anni, forse nove, forse undici) e non riuscire più a nascondersi nella buca che la mamma ha scavato vicino alle patate.

Allora si va via, lo decide la mamma, anche se Enaiat deve finire di giocare a “Bazul-Bazi” con i suoi amici, e si va in Pakistan, con niente e velocemente, ma con tre cose che Enaiat jan non dovrà mai fare nella vita: usare le droghe, usare le armi e rubare.

Da queste regole, da una carezza nei capelli e da un grande e tragico atto d’amore Enaiat inizierà il suo viaggio della vita, per la vita, da solo.

Un viaggio lungo, doloroso, solitario. Dall’Afghanistan all’Italia, senza mai perdere la sua innocenza, la sua ironia e il suo sorriso.

Le strade di Kandahar erano asfaltate. C’erano macchine, moto, biciclette, negozi e tanti locali per bere il chay e parlare tra uomini e palazzi alti anche più di tre piani con le antenne sui tetti e polvere, vento e polvere, e lungo i marciapiedi tanta di quella gente che in casa pensavo, non doveva esserci rimasto nessuno”

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