Cambiare l’acqua ai fiori

“Sono guardiana del cimitero, bevo solo lacrime…”

Violette Toussant (Violetta Ognissanti) è la protagonista e la guardiana, di chi? Di nessuno all’interno del cimitero, ma di tutti all’esterno. E’ guardiana sei sentimenti, dei dolori, dei rimpianti, delle delusioni e degli amori degli altri che passano da lei dopo le visite ai loro cari. Perchè? Perché Violette è solare, bella, cordiale, accogliente.

Veste l’inverno fuori (per gli altri) e l’estate sotto (per lei). Trascrive i discorsi che vengono fatti durante i riti funebri (a qualcuno farà piacere prima o poi risentirli o sentirli per la prima volta). I suoi amici sono il parroco del paese, i becchini Nono, Gaston e Elvis (si proprio da Elvis Presley “perchè non sa leggere né scrivere ma conosce tutte le canzoni del suo idolo” e solo per questo vale la lettura del libro) e i titolari dell’impresa funebre del paese.

Tutto questo basta per condurre una vita serena ma l’arrivo improvviso di un poliziotto di Marsiglia con la sua storia trasforma Violette e il romanzo. Non si possono nascondere i legami fra vivi e morti.

Cimitero monumentale di San Giovanni in Persiceto

Nel mare ci sono i coccodrilli

Enaiat ha forse dieci anni, forse nove, forse undici. Dove vive Enaiat a Nava in Afghanistan gli uffici dell’anagrafe non ci sono, ma ci sono pashtun, talebani e hazara come lui. E i talebani a loro volta sono pakistani, senegalesi, marocchini, egiziani…

Non si cresce tanquilli e basta poco per diventare troppo grandi (forse dieci anni, forse nove, forse undici) e non riuscire più a nascondersi nella buca che la mamma ha scavato vicino alle patate.

Allora si va via, lo decide la mamma, anche se Enaiat deve finire di giocare a “Bazul-Bazi” con i suoi amici, e si va in Pakistan, con niente e velocemente, ma con tre cose che Enaiat jan non dovrà mai fare nella vita: usare le droghe, usare le armi e rubare.

Da queste regole, da una carezza nei capelli e da un grande e tragico atto d’amore Enaiat inizierà il suo viaggio della vita, per la vita, da solo.

Un viaggio lungo, doloroso, solitario. Dall’Afghanistan all’Italia, senza mai perdere la sua innocenza, la sua ironia e il suo sorriso.

Le strade di Kandahar erano asfaltate. C’erano macchine, moto, biciclette, negozi e tanti locali per bere il chay e parlare tra uomini e palazzi alti anche più di tre piani con le antenne sui tetti e polvere, vento e polvere, e lungo i marciapiedi tanta di quella gente che in casa pensavo, non doveva esserci rimasto nessuno”